Lo scratch endometriale detto anche pipelle de Cornier o biopsia endometriale, consiste nell’ effettuare un piccolo “graffio”(scratch) o sulla mucosa che riveste internamente l’utero.

Questa metodica normalmente viene impiegata per effettuare le biopsie endometriali per patologie come la iperplasia, l’endometrite, l’esame colturale endometriale ecc.) ma nel 2003 Barash A. e collaboratori, pubblicarono una associazione interessante tra la biopsia endometriale ed il successivo miglioramento dei tassi di impianto: la biopsia endometriale eseguita durante la fase luteale del ciclo che precede il trattamento di fecondazione assisitita raddoppiava i tassi di impianto embrionale.

Un miglioramento delle percentuali di impianto e di gravidanza fu evidenziato anche successivamente da altri Autori (Zhou L et al. 2008).

Lo scratch endometriale può essere eseguito durante una isteroscopia o più semplicemente mediante l’utilizzo di sottili cateteri monouso detti Pipelle de Cornier. Va effettuato nella seconda fase del ciclo che precede il ciclo di fecondazione in vitro o il transfer di embrioni/blasocisti vitrificate. La procedura è rapida, sicura e poco dolorosa.

Nel tentativo di chiarire il meccanismo alla base del miglioramento dei tassi di impianto embrionario, Gnainsky e collaboratori, hanno condotto una sequenza di biopsie endometriali su una serie di pazienti e hanno scoperto che la biopsia endometriale determina un afflusso di macrofagi con conseguente aumento di citochine proinfiammatorie. Gli Autori hanno suggerito che questa risposta infiammatoria al danno endometriale può facilitare la preparazione dell’endometrio per l’impianto e dunque il successivo impianto embrionale ( Gnainsky Y et al. 2015).

Prof. Giuseppe Nicodemo Roma
Medico-Chirurgo Biologo Andrologo

Specialista in Ginecologia ed Ostetricia

Fisiopatologia della Riproduzione Umana

La tendenza, in atto già da tempo nelle società occidentali per motivi sociali ed economici, a ritardare il momento in cui viene ricercata una gravidanza, espone sempre di più la donna al rischio di non riuscire a concepire.

Circa il 20% della popolazione ha problemi di infertilità, dovuti nella maggior parte dei casi alla ricerca della prima gravidanza in età sempre più avanzata, con la conseguenza che il suo ottenimento diventa sempre più difficile.Ciascuna donna riceve il proprio patrimonio di follicoli ovarici nell’utero materno e già dalla nascita tale patrimonio subisce un inesorabile declino sia quantitativo che qualitativo, in particolare le donne dai 30 ai 40 anni perdono il 75% della loro riserva follicolare. Questo problema assume un’importanza notevole nel trattamento della sterilità in quanto l’invecchiamento ovarico è il singolo fattore più importante nel determinare l’efficacia dei trattamenti, specialmente per le donne che ritardano il momento della prima gravidanza.

Il dosaggio sul sangue dellFSH (ormone follicolo stimolante), dellestradiolo e dell’AMH (ormone anti-Mulleriano) sono attualmente i test ematici più utilizzati per valutare almeno orientativamente la riserva ovarica.

Per migliorare l’affidabilità e l’interpretazioni dei dosaggi ormonali, un’attenta valutazione ecografica non solo sulla conta dei follicoli ma anche sulla dimensione degli stessi dovrebbe essere eseguita di routine.

L’ecografia transvaginale, tradizionale è perciò entrata prepotentemente nella valutazione della riserva ovarica.

Il follicolo antrale o secondario è visibile all’ecografia ed il numero totale di follicoli antrali costituisce un eccellente parametro di valutazione diretta della riserva ovarica. I follicoli antrali infatti sono quelli che effettivamente risentono della stimolazione da parte dell’ormone follicolo stimolate prodotto dall’ipofisi o somministrato nei cicli di fecondazione assistita. Con una semplice ecografia trans vaginale eseguita in fase follicolare precoce (primi giorni di flusso mestruale) si misurano i follicoli di dimensioni comprese tra 2 e 10 mm di diametro. La presenza di un ridotto numero di follicoli antrali (tra 3 e 10 in totale nelle due ovaie) è stato confermato da oramai numerosi studi, è associata ad una bassa probabilità di gravidanza e ad una scarsa risposta ovarica alla eventuale stimolazione.

La conta dei follicoli antrali assume rilevanza inoltre nell’indicare anche in qualche modo un aspetto relativo alla qualità ovocitaria. I follicoli contenenti gli ovociti di migliore qualità sono reclutati e selezionati all’interno dell’ovaio per primi, in età più giovane, così che nel tempo si verifica da una parte una riduzione del numero dei follicoli e dall’altra un aumento percentuale di follicoli contenenti ovociti di “peggiore qualità” ossia affetti da aneuploidie, che se fecondati, genereranno quindi embrioni con materiale genetico alterato.

Recenti studi hanno dimostrato come la performance dell’AFC nella valutazione della quantità dei follicoli primordiali presenti in un dato momento nell’ovaio sia sovrapponibile a quello dell’AMH. L’importanza dell’AFC come mezzo per personalizzare il tipo di stimolazione ormonale nei cicli di fecondazione assistita e’ legata al fatto che essa riflette direttamente il pool dei follicoli che verranno reclutati. La conoscenza della riserva ovarica ci permetterà perciò di stabilire il tipo di protocollo di stimolazione e il dosaggio di farmaci adatto a quel caso, ci permetterà quindi di ‘personalizzare’ la terapia, ottimizzando i risultati.

L’AFC eseguita mediante una semplice ecografia transvaginale rappresenta dunque un ottimo sistema per lo studio della riserva e della risposta ovarica. Essa ben correla con i tradizionali test eseguiti sul sangue, indicando che il numero di tali follicoli rappresenta la riserva ovarica funzionale e suggerendo quindi che questa misura possa costituire un marcatore della fertilità naturale.

La conta dei follicoli antrali è pertanto un parametro di cruciale importanza nella medicina e nella biologia della riproduzione umana.

Prof. Giuseppe Nicodemo Roma
Medico-Chirurgo – Biologo . Andrologo

Specialista in Ginecologia ed Ostetricia Fisiopatologia della Riproduzione Umana

La diagnosi di prostatite è basata principalmente sulla sintomatologia. Ai sintomi si affianca poi l’esame obiettivo e la palpazione della prostata per via rettale. Una volta confermato il sospetto di prostatite è necessario eseguire esami colturali su urine e liquido seminale per identificare l’eventuale presenza e il tipo di batteri responsabili della malattia. Nei casi più complicati sono necessari esami più complessi.

L’anamnesi deve valutare la presenza di febbre o febbricola, bruciore e dolore durante la minzione o i rapporti sessuali, difficoltà alla minzione, urgenza minzionale, minzioni frequenti di giorno e notte, scomparsa dei dolori alla vescica dopo aver urinato. Bisogna inoltre indagare se coesistono dolore ai testicoli, al basso ventre o al perineo. Altra parte importante dell’intervista riguarda lo stile di vita, l’anamnesi lavorativa e le abitudini alimentare del paziente. Bisogna inoltre valutare se  altre malattie come le malattie neurologiche, depressione o stress possano essere loro la causa dei sintomi.

L’esame obiettivo comprende l’esame digito-rettale (DRE). Questo esame consiste nella palpazione della prostata e dei tessuti circostanti attraverso la parete del retto, introducendo nel retto un dito guantato e lubrificato. Si valutano le dimensioni, la compattezza e la consistenza della prostata e l’eventuale presenza di dolore causato dal contatto o dalla pressione del dito sulla ghiandola. Con l’esame obiettivo si esamina inoltre l’eventuale presenza di zone dolenti al basso ventre e al perineo o uno stato di spasticità dei muscoli perineali.

Nel sospetto di prostatite è necessaria la ricerca dell’eventuale agente patogeno causa di una prostatite batterica.

Tale ricerca viene effettuata con un esame colturale delle urine (urinocoltura). In caso di prostatite cronica può essere utile eseguire il test di Meares-Stamley o il test pre-massaggio e post-massaggio (PPMT).

Il test di Meares-Stamey è un’indagine utile per valutare se una infezione del basso tratto urinario è dovuta ad un problema all’uretra (uretrite) o alla prostata (prostatite cronica). Il test richiede di raccogliere 3 campioni separati che contengono un primo getto di urina, un getto intermedio e un campione di urina ottenuto dopo aver massaggiato la prostata.

Nel test pre-massaggio e post-massaggio (PPMT), i campioni di urina vengono ottenuti prima e dopo aver effettuato un massaggio della prostata e mandati in laboratorio per un esame delle colture batteriche. La diagnosi di prostatite batterica cronica avviene quando sono presenti contemporaneamente batteri e globuli bianchi nel campione di urine post-massaggio.

Attualmente si ritiene utile eseguire anche l’esame colturale del liquido seminale (spermiocoltura) mentre ha perso di importanza il doloroso tampone uretrale.

Tra gli esami più approfonditi (cosiddetti di secondo livello) segnalo anche :

La qualità degli spermatozoi  è direttamente correlata alla fertilità maschile.  Essa può essere perciò valutata attraverso lo spermiogramma o esame del liquido seminale. Esso consiste in una valutazione delle caratteristiche fisico-chimiche, della concentrazione degli spermatozoi e della  loro motilità e morfologia. Si tratta di un esame di fondamentale importanza che deve essere eseguito con precisione seguendo i rigidi criteri riportati nel manuale WHO 2010.

Il liquido seminale deve essere raccolto in un contenitore sterile dopo una astinenza sessuale che va da un minimo di tre ad un massimo di cinque giorni. L’analisi del liquido seminale deve iniziare non oltre 1 ora dall’eiaculazione. Viene così valutata la fluidificazione, la viscosità ed il suo  volume (valori normali tra 1,5 e 6,8 ml).

Entro un’ ora dall’emissione è anche necessario misurare il pH del campione, attraverso degli indicatori di pH, il cui minimo valore soglia è 7,2. Il liquido seminale ha normalmente un pH alcalino, che oscilla tra 7,5 e 8,0, ed è la risultante tra la secrezione basica delle vescichette seminali e la secrezione acida della prostata. Un pH inferiore a 7 è espressione di disfunzione delle vescichette seminali, un pH superiore a 8,0, in presenza di leucociti, indica la presenza di una infezione. La successiva valutazione microscopica valuta la presenza di  leucociti e la MOTILITA’  degli spermatozoi. Il grado della motilità progressiva degli spermatozoi è correlato alla percentuale di gravidanza. La classificazione della motilità degli spermatozoi è la seguente:

motilità progressiva (tra 32 e 72 %): lo spermatozoo si muove attivamente, percorrendo una traiettoria rettilinea, indipendentemente dalla velocità

motilità non progressiva: comprende tutte le motilità in cui non c’è progressione nello spazio, ad esempio movimenti circolari oppure piccoli movimenti solo della testa o della coda dello spermatozoo

immobilità: nessun movimento.

La motilità totale (tra 40 e 78 %) è composta dalla somma della motilità progressiva e non progressiva.

La CONCENTRAZIONE degli spermatozoi, rappresenta il  numero di spermatozoi in 1 ml di campione seminale (tra 15 e 213 milioni/ml). Essa,  moltiplicata per l’intero volume consente di determinare il numero totale di spermatozoi nell’eiaculato (tra 39 e 802 milioni/volume totale). Entrambi i parametri sono correlati alla percentuale di gravidanza e sono predittivi del concepimento.

La MORFOLOGIA degli spermatozoi è un altro parametro importante per la determinazione della fertilità maschile. Affinché uno spermatozoo possa essere considerato normale (potenzialmente fecondante) è necessario che siano normali sul piano morfologico la testa (contenente il DNA e gli enzimi che aiutano la penetrazione nella cellula uovo), il tratto intermedio (contenente i mitocondri che forniscono l’energia per il movimento) e la coda dello spermatozoo (che dirige il movimento). Gli spermatozoi anomali generalmente hanno un più basso potenziale di fecondazione. Secondo il manuale WHO 2010 per definire una morfologia normale il valore minimo di riferimento delle forme tipiche è 4%. Al di sotto di tale percentuale viene data una diagnosi di teratozoospermia che indica la presenza nel campione seminale di una maggiore percentuale di spermatozoi con anomalie rispetto ai valori consentiti.

LEUCOCITI (globuli bianchi). Un livello elevato  viene definito leucospermia è può indicare la presenza di un’infezione. I limiti possono variare, ma si può assumere come riferimento di leucospermia un valore superiore a 1 milione di leucociti.

Il limite di riferimento inferiore per il TEST DI VITALITA’  è 58%. La percentuale di spermatozoi vitali dovrebbe essere eseguita su tutti i campioni con una motilità progressiva inferiore al 40%. Questo esame si effettua mettendo gli spermatozoi a contatto con un particolare colorante: si coloreranno solo le cellule morte, con membrana cellulare danneggiata, perché permettono la penetrazione del colorante che normalmente non penetra nelle cellule vitali.

Negli ultimi cinquant’anni la qualità del liquido seminale si è ridotta notevolmente. Quindi lo spermiogramma resta la prima indagine da effettuare nella valutazione della coppia alla ricerca di una gravidanza. Questo consentirà infatti di capire la strada da intraprendere per iniziare un iter diagnostico incentrato più sul partner maschile o più su quello femminile oppure per l’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).

Nel 1994 è stato possibile ottenere gravidanze prima impensabili grazie al recupero degli spermatozoi assenti nell’eiaculato, inizialmente dall’epididimo e successivamente direttamente dal testicolo.

Le tecniche utilizzate oggi per il recupero sono diverse :

(Testicular Sperm Extraction, TESE).

I campioni di tessuto testicolare ottenuti devono essere processati in modo da permettere agli spermatozoi eventualmente presenti di liberarsi dai tubuli seminiferi. Le moderne tecniche di congelamento permettono di poter crioconservare gli spermatozoi testicolari ottenuti dai soggetti con condizione seminale di azoospermia. Procedura estremamente utile nel trattamento dei pazienti che si sottopongono prima ad un prelievo testicolare e successivamente ad un ciclo di procreazione medicalmente assistita (PMA) mediante iniezione intracitoplasmatica degli spermatozoi negli ovociti (ICSI). Il successo della tecnica di microiniezione degli ovociti, oltre a migliorare notevolmente i risultati del recupero chirurgico degli spermatozoi nelle azoospermie, ha reso possibile l’ottenimento di gravidanze in pazienti con problematiche di azoospermia secretoria, prelevando i gameti maschili direttamente dal testicolo.

L’estrazione di spermatozoi testicolari (TESE) fu introdotta come procedura per recuperare spermatozoi nelle azoospermie ostruttive dove una precedente aspirazione microchirurgica degli spermatozoi dall’epididimo (MESA) aveva fallito. La TESE può essere singola o multipla, cioè con più sedi di prelievo dallo stesso testicolo; solitamente si esegue in anestesia locale. Le complicanze chirurgiche della TESE sono abitualmente limitate e comuni agli interventi di piccola chirurgia scrotale: ematomi, infezioni, dolore ecc. Nelle azoospermie ostruttive è di solito sufficiente un unico prelievo dal quale si ottengono spermatozoi adeguati per qualità e numero per crioconservazione e per successive ICSI. Di regola il recupero è ottimo (con positività prossima al 100%) e idoneo alla crioconservazione con minima perdita di parenchima testicolare.

La TESE è una procedura raccomandata nelle azoospermie non ostruttive, in quanto in queste ultime il recupero dei gameti è possibile solo dai tubuli seminiferi (quindi dal testicolo), pertanto la TESE risulta significativamente migliore rispetto alle tecniche percutanee, fornendo spermatozoi per la ICSI in buona percentuale. Nelle azoospermie non ostruttive la TESE multipla, ovvero con prelievi in differenti zone del testicolo, sembra migliorare il tasso di successo complessivo rispetto a quella singola. In questo tipo di azoospermie, contrariamente da quelle ostruttive, la percentuale media di recupero positivo è attorno al 50%, quindi il rischio di non poter eseguire la ICSI è significativo. Sarebbe opportuno per il medico avere a disposizione prima dell’intervento alcuni elementi predittivi di recupero positivo di spermatozoi, come per esempio il volume testicolare; il valore di FSH (ormone follicolo stimolante) sono i marcatori di spermatogenesi normale più utilizzati.

Lo sviluppo delle tecniche di riproduzione assistita è stato un potenziale sostegno per aiutare le coppie a concepire, rivoluzionando in pochi anni il trattamento della sterilità di coppia. All’inizio degli anni ’90, l’introduzione della tecnica ICSI ha segnato un progresso storico rendendo possibile la gravidanza a coppie con partner maschile con grave oligospermia, che fino ad allora potevano soltanto ricorrere all’adozione o alla fecondazione con il seme di un donatore.

In breve tempo, l’impiego di tecniche di prelievo di spermatozoi direttamente dall’apparato genitale maschile, associate alla ICSI, ha permesso il trattamento anche di coppie con partner maschile privo di spermatozoi nell’eiaculato. Questa tecnologia è vantaggiosa per tutti gli uomini con problematiche di azoospermia ostruttiva o non ostruttiva, con disturbi eiaculatori, lesioni del midollo spinale o eiaculazione retrograda come spesso accade nei pazienti diabetici.

Recentemente c’e stato un incremento dell’interesse per la crioconservazione degli spermatozoi recuperati da TESE in quanto questo permette di avere la sicurezza della presenza degli spermatozoi, in numero sufficiente prima di iniziare con il ciclo ICSI, inoltre è possibile eseguire più cicli con il materiale recuperato e crioconservato da un prelievo evitando di sottoporre il paziente a ripetute biopsie testicolari.

Nei paesi occidentali si è registrato uno spostamento in avanti dell’età del primo concepimento soprattutto dalla fine degli anni 70 in poi. Nell’Italia del baby boom nascevano poco più di 1˙000˙000 di bambini all’anno tant’è vero che all’inizio degli anni 70 si assisteva al fenomeno dei doppi turni nelle scuole medie delle grandi città per mancanza di aule. Dagli anni 70 in poi, invece, il numero dei nati è calato progressivamente, fino ai circa 500˙000 bambini l’anno della fine degli anni 90. Lo spostamento in avanti dell’età del primo concepimento nei paesi occidentali è dovuto ad una serie di fattori socioculturali. Dagli anni 50 in poi la società occidentale si è trasformata da prevalentemente rurale in industriale o post-industriale. Si è assistito, in Italia, a forti flussi migratori interni dal Sud al Nord, soprattutto verso le grandi città, con il verificarsi di difficoltà legate alla logistica abitativa e alla distanza dal nucleo familiare di origine riguardo ad assistenza e collaborazione nella gestione della prole. E aumentata la scolarità della popolazione, quindi anche della popolazione femminile per cui l’accesso delle donne ad una serie di professioni con possibilità di carriera ha fatto spesso dilazionare nel tempo la ricerca della prima gravidanza. L’aumento del costo della vita in generale, e della casa in particolare, una serie di influenze dei mezzi di informazione su comportamenti, stili di vita e finalità della vita stessa non sono stati di grande aiuto verso il desiderio di riprodursi. Le informazioni sulle possibilità e i progressi della fecondazione assistita hanno spesso creato aspettative eccessive nella popolazione, se non illusioni, frutto di errata comunicazione o comprensione. L’ associazione tra aumento dell’ età materna e diffusione dell’infertilità femminile, o riduzione dell’ efficacia delle terapie dell’infertilità, e nota da tempo. Secondo un recente parere del Comitato di Ginecologia del Collegio di Ostetrici e Ginecologi americano e del “Comitato della Società Americana di Medicina della Riproduzione” la fertilità femminile è strettamente correlata all’età riproduttiva ed è seriamente compromessa già prima dell’esordio delle irregolarità mestruali che precedono la menopausa. È di essenziale importanza che le donne che desiderano una gravidanza siano informate e consapevoli dell’impatto dell’età sulla fertilità, anche attraverso un servizio di counselling. Le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre di una tempestiva diagnosi e trattamento già dopo sei mesi di fallimento nel tentativo di concepire, o anche prima se esiste una precisa indicazione clinica.

Il declino della fertilità femminile, correlato all’età, dipende dalla riduzione irreversibile della quantità e della qualità degli ovociti presenti nelle ovaie. Con il passare degli anni, il numero di ovociti nelle ovaie declina per un processo naturale (atresia). La quantità massima di ovociti (6-7 milioni) è presente nell’effetto femminile intorno alla 20ª settimana di gestazione. Già alla nascita, però, la bambina ha una quantità di ovociti nettamente inferiore (1-2 milioni), quantità che diventerà di 300-500.000 alla pubertà, di 25.000 all’età di 37 anni, e infine di soli 1000 ovociti all’età di 51 anni (età media dell’esordio della menopausa negli Stati uniti). In tutta la vita riproduttiva, una donna non avrà più di 350-400 ovulazioni.
32 anni e 37 anni sono le due età femminili in cui si registrano dei cambiamenti significativi nella fertilità. La fecondità (cioè la possibilità di concepire per ciclo mestruale) subisce un primo calo significativo, anche se graduale, già intorno ai 32 anni, e un secondo più rapido declino dopo i 37 anni (il che riflette una diminuzione della qualità degli ovociti e un aumento dei livelli sanguigni dell’ormone follicolo stimolante FSH). I meccanismi biologici sono ancora poco conosciuti, ma sembrano riguardare diversi fattori codificati dai geni presenti sul cromosoma X e sugli altri cromosomi
L’età in se stessa ha un impatto negativo sulla fertilità, indipendentemente dal contesto socio-economico. L’ età in se stessa a un impatto negativo sulla fertilità, indipendentemente dai fattori socioeconomici. Questo dato è confermato dai dati relativi a popolazioni di epoche diverse dalla nostra (come le popolazioni europee dei secoli scorsi), in cui non era diffuso l’uso di metodi contraccettivi efficaci. I dati raccolti suggeriscono che il tasso di fertilità diminuisce con l’aumentare dell’età delle donne. Occorre tener presente, però, che anche la frequenza dei rapporti sessuali tende a ridursi con l’età e questo fattore ha statisticamente una certa rilevanza. Uno studio francese divenuto oramai un classico della letteratura scientifica sull’argomento è tuttavia riuscito a separare due fattori (comportamento sessuale ed età) dimostrando in modo inequivocabile l’impatto dell’età femminile sull’infertilità.
Anche il risultato delle tecniche di procreazione medicalmente assistita è penalizzato dall’età della donna. Lo studio francese di cui sopra è stato condotto su donne fertili che a causa dell’infertilità del coniuge, hanno fatto ricorso alla donazione di sperma. Esso ha registrato la seguente tendenza nelle percentuali di gravidanze ottenute in 12 cicli d’inseminazione con seme di donatore:
-in donne con età inferiore ai 31 anni: 74% di gravidanze
-in donne con età dai 31 ai 35 anni: 62% di gravidanze
-in donne con età superiore ai 35 anni: 54% di gravidanze
Risultati simili sono stati ottenuti in studi analoghi condotti negli Stati Uniti. Dati registrati nel 2006 riguardanti cicli di fecondazione assistita con trasferimento di embrioni effettuati nei centri statunitensi hanno dimostrato che la percentuale di nati vivi da trasferimento di embrioni decresce progressivamente con l’aumentare dell’età della donna:
-in donne con meno di 35 anni è del 44,9%
-in donne dai 35 ai 37 anni è della 37,3%
-in donne dai 38 ai 40 anni e del 26,5%
-in donne dai 41 ai 42 anni e della 15,2%
-in donne dai 43 ai 44 anni e delle 6,7%
invece, se si usano ovociti di donatrice giovane, l’età della donna su cui viene effettuato il trattamento non ha praticamente più importanza: la percentuale di trasferimenti che hanno portato alla nascita di bambini vivi si attesta intorno al 54%, indipendentemente dall’età della donna.

Con l’età aumentano i rischi per la madre e per il bambino. Con l’età aumenta il rischio di disordini che possono compromettere la fertilità come i fibromi, problemi alle tube, endometriosi. Le donne che hanno già subito operazioni alle ovaie, chemioterapie, radioterapie o che hanno avuto una grave endometriosi, una infezione pelvica, che hanno fumato o hanno una storia familiare di donne con menopausa precoce, possono correre più rischi di un declino prematuro del loro patrimonio ovarico (la cosiddetta riserva ovarica). Inoltre, il declino della fertilità dovuto all’età femminile è accompagnato da un significativo aumento di aneuploidie cioè alterazioni del corredo cromosomico per eccesso o per difetto del singolo ovocita, alterazioni dell’integrità del fuso mitotico, cioè della struttura che permette l’appaiamento delle coppie di cromosomi prima della divisione cellulare, e arresti metabolici, ovvero il blocco di alcuni processi metabolici della cellula uovo, come produzione di proteine o acidi nucleici, ecc. Le trisomie, cioè la presenza di un cromosoma in più rispetto alla normale coppia, dell’ovocita, che hanno una frequenza di meno del 2% nelle donne al di sotto dei 25 anni, aumentano a più del 35% al di sopra dei 40 anni. Aumentano dunque perciò anche gli aborti spontanei. Anche tra gli embrioni già selezionati in base alla loro morfologia normale e destinati all’impianto, si è registrata la prevalenza (cioè la percentuale in un tempo dato) di aneuploidie correlata all’età materna. È più alto in misura significativa anche il tasso di aborti, anche in un’epoca successiva alla prima verifica del battito cardiaco. Pur considerando che il 9,9% delle donne con meno di 33 anni che ottengono una gravidanza durante un ciclo di fecondazione assistita a fresco (cioè con materiale biologico non crioconservato), vanno incontro ad un aborto spontaneo prima che sia stata rilevata l’attività cardiaca del feto, va comunque osservato che il tasso di aborti spontanei aumenta progressivamente con l’età della donna:
-in donne tra i 33 ed i 34 anni è dell’11,4%
-in donne tra i 35 ed i 37 anni è dell’ 13,7%
-in donne tra i 38 ed i 40 anni è del 19,8%
-in donne tra i 41 ed i 42 anni è delle 29,9%
-in donne con più di 42 anni è del 36,6%.
In tutte le casistiche di fecondazione assistita e nei report dei registri americani, europei e di alcuni singoli paesi, l’associazione tra aumento dell’età materna e peggioramento dei risultati è costante. E noto anche che, all’aumentare dell’età, oltre alla minore probabilità di ottenere una gravidanza, c’è anche un incremento delle gravidanze che non si concludono positivamente, in quanto aumentano gli aborti spontanei. L’età della donna rimane comunque il più significativo fattore di predizione dei risultati delle tecniche di PMA ed è tra i fattori di prognosi il più importante degli altri indicatori di riserva ovarica (termine che definisce il potenziale di sviluppo di cellule uovo da parte delle ovaie). Fra questi ultimi sono importanti :

– livello di FSH

– concentrazione di inibina B: polipeptide prodotto dai follicoli pre-antrali la concentrazione del quale è indicativa della riserva ovarica

– livello di ormone antimulleriano (AMH): polipeptide prodotto dalle cellule della granulosa dei follicoli (una delle membrane che li avvolgono) in quantità costante durante il ciclo

– volume ovarico misurato ecograficamente

– numero dei follicoli preantrali, cioè i follicoli di 3-4 mm di diametro destinati ad essere reclutati dall’FSH e poi stimolati.

D’altra parte, i livelli di AMH e la conta follicolare sono strettamente correlati all’età. Anche le abitudini di vita, come il fumo, i dismetabolismi come obesità e diabete, le malattie endocrine, come iperprolattinemia e alterazioni della funzione della tiroide, e precedenti interventi sulle ovaie hanno comunque un impatto, anche se meno importante, dell’età materna. Recenti studi hanno indicato un aumento di anomalie cromosomiche anche a livello spermatico, collegato all’età, che porterebbe ad un incremento della frequenza di aborti. Nei paesi occidentali, la percentuale delle pazienti al di sopra dei 34 anni che effettuano cicli di PMA varia dal 45% dell’Europa (Nyboe Andersen 2008) al 60.3% degli Stati Uniti (SART 2004). In Italia, nel 2006 (ISS 2008), su 100 donne che hanno iniziato un ciclo di fecondazione assistita, il 62.1% aveva più di 34 anni. Il primo aspetto, di un ciclo di PMA, su cui l’età avanzata incide è la risposta alla stimolazione farmacologia dell’ovulazione, e quindi la possibilità di prelevare un numero sufficiente di ovociti di buona qualità. Il Registro Americano (SART 2004) ha riportato, per l’anno 2000, una frequenza di gravidanza, in rapporto al trasferimento di embrioni, del 38.9% in donne al di sotto dei 35 anni, del 24.9% in quelle tra i 38 e i 40 anni e del 11.7% nelle pazienti al di sopra dei 40 anni. Nelle stesse classi di età, l’abortività è stata, rispettivamente, del 12.3%, 23.7% e 39.2%. Per l’anno 2006, il Registro Italiano (ISS 2008) ha riportato i seguenti tassi di gravidanza in base all’età:

Gravidanze ottenute rispetto ai cicli di stimolazione ovarica iniziati:

<29 aa: 28.8%; 30-34 aa: 24%; 35-39 aa: 18.2%; 40-42 aa: 10.8%; 43 aa: 8%; 44 aa: 3.3%; >45aa: 1.5%

Il dato di gravidanze in rapporto al trasferimento di embrioni non è riportato, dal Registro Italiano, diviso per età, così come il dato generale del 21% di abortività delle gravidanze ottenute non è rapportato all’età.

I dati fin qui riportati confermano, da varie angolature, il fatto che l’aumento dell’età materna è comunque un fattore negativo, sia per le possibilità di ottenere una gravidanza, sia perchè la stessa si concluda favorevolmente. Le evidenze sopra riportate suggeriscono di tenere in considerazione il problema dei costi e dell’accessibilità alle tecniche di PMA. La legge 40/2004 di fatto non pone limiti di età all’accesso alle tecniche di PMA, avendo utilizzato una definizione generica come età fisiologica di riproduzione . La nota 74 dell’ AIFA sulla prescrizione dei farmaci, che è quella a cui sono sottoposti i farmaci per l’induzione dell’ovulazione, ha il limite dei 45 anni compiuti o dei livelli di FSH di 30 mU/ml. Molti Stati europei hanno regolamentato l’accesso alle tecniche in base all’età, al numero di cicli eseguibili e ad eventuali contributi da pagare da parte dei pazienti. Considerando questi ed altri elementi, alcune Regioni italiane hanno regolamentato l’accesso alle procedure nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale. La Toscana ha posto un limite di 42 anni o di tre cicli. Il Trentino ha posto il limite di 40 anni e tre cicli. La Lombardia non ha ancora regolamentato l’accesso alla PMA, anche se all’ inizio del 2007 sono state presentate all’Assessorato alla Sanità proposte di Linee Guida regionali che prevedevano il limite dei 43 anni e di un massimo di 6 cicli per soggetto.

In conclusione: Dato il declino della fertilità ben prima della menopausa, l’incidenza più elevata di disturbi che incidono negativamente sulla fertilità è il maggior rischio di aborto, le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre tempestivamente di una diagnosi e di un trattamento già dopo sei mesi di ricerca di una gravidanza, o anche prima in caso di indicazioni cliniche specifiche. L’età materna rappresenta dunque il fattore più importante, sia per la fecondità spontanea che per i risultati delle tecniche di PMA. L’età materna è un fattore importante per l’esito delle gravidanze in termini di abortività e complicazioni della gravidanza. Dopo un anno di rapporti senza concepimento non è giustificata alcuna attesa. Bisogna rivolgersi agli specialisti. Medici di famiglia, ginecologi consultoriali, ginecologi di fiducia, senza urtare la sensibilità delle pazienti o entrare nella sfera della privacy, dovrebbero sensibilizzare le pazienti sul fatto che l’età materna è un fattore chiave della riproduzione e sull’opportunità di non posporre troppo una ricerca di gravidanza. La gradualità delle tecniche prevista dalla legge 40 va probabilmente modulata in caso di età avanzata della donna. Il counselling sulle possibilità della PMA deve tenere conto del fattore età e del fatto che spesso le pazienti arrivano con aspettative eccessive riguardo alle possibilità di successo della fecondazione assistita. Negli ultimi anni sono passati messaggi fuorvianti sulle potenziaità della PMA a tutte le età. Di fronte a queste aspettative o alla cattiva informazione, diventa fondamentale fornire corrette informazioni alle coppie. Anche le tecniche come l’ovodonazione, finalmente non più vietate in Italia, vanno proposte alle pazienti come possibilità reali e ad alta probabilità di successo, per risolvere un problema di infertilità dopo i 41 42 anni.

Nell’80% dei casi la sterilità femminile è dovuta principalmente alla età avanzata ed al cosiddetto fattore tubo-peritoneale quando in causa sono chiamate le tube di Falloppio.

La probabilità di ottenere una gravidanza ed i tassi di successo delle procreazioni medicalmente assistite diminuiscono al crescere dell’età della donna.

Secondo un importante studio del “Comitato di Ginecologia del Collegio di Ostetrici e Ginecologi” americano e del “Comitato della Società Americana di Medicina della Riproduzione” , la correlazione tra la fertilità femminile e l’età dipende dal progressivo ed irreversibile ridursi del numero e dal peggioramento della qualità degli ovociti.

Tale processo naturale di declino prende il nome di atresia. Tra i 32 ed i 37 anni si registrano significativi cambiamenti nella fertilità femminile, graduale calo di fecondità dopo i 32 anni che  dopo i 37 anni diviene significativamente più rapido ed è associato ad una diminuzione della qualità degli ovociti e ad un aumento dell’ormone follicolo stimolante (FSH).

Letà media della menopausa si aggira intorno ai 51 anni questo è vero, ma già sopra i 44-45 anni le probabilità di avere un figlio sono davvero minime (meno del 5%). Quando, per qualunque motivo, gli ovociti finiscono prima del previsto, si parla di esaurimento ovarico prematuro o menopausa precoce: in questo caso la menopausa può arrivare a 35-40 anni, o anche prima.

Questo  non significa che una donna non ha assolutamente speranze di concepire un figlio se ha più di 45 anni. Esistono al mondo donne fertili dopo i 50 anni, donne che hanno dato alla luce figli sani a 57 anni. Sono casi rarissimi e statisticamente non significativi.

La fertilità maschile è invece più stabile e si mantiene per molti anni, mentre nella donna resta più o meno stabile solo fino ai 30 anni per poi diminuire, con un primo netto calo sopra i 35 e un calo più drastico dopo i 40.

Negli uomini gli spermatozoi vengono continuamente rinnovati e, a differenza degli ovociti femminili, non invecchiano. La produzione di questi è un processo continuo all’interno dei testicoli che dura circa 70 giorni. Dunque ogni 3 mesi gli spermatozoi si rinnovano completamente dalla pubertà fino alla vecchiaia.

Col passare del tempo comunque anche l’uomo va incontro a deficit di infertilità quali diminuzione della produzione di testosterore, aumento dei problemi prostatici, aumento delle disfunzioni erettili o dei problemi di eiaculazione.

Mentre gli uomini producono continuamente nuovi spermatozoi, le donne nascono avendo già nelle ovaie tutti gli ovociti che useranno nella loro vita fertile. Il maggior numero di ovociti, una donna lo possiede quando si trova ancora nell’utero di sua madre: quando il feto femminile si trova alla ventesima settimana di sviluppo, le sue ovaie contengono fino a 6-7 milioni di ovociti. Al momento della nascita questo numero si riduce a 1-2 milioni e continuerà a diminuire. Al momento della pubertà una ragazza ha 200-500 mila ovociti nelle ovaie, e di questi ne userà solo una piccolissima parte (400-500 in tutto) nel corso della sua vita fertile. Infatti la maggior parte degli ovociti è destinata a degenerare per un processo di morte spontanea chiamato atresia: ogni mese iniziano a maturare molti follicoli, ma di questi solo uno o due si svilupperanno completamente mentre gli altri andranno incontro a una degenerazione spontanea.

Con l’aumentare dell’età crescono anche i possibili rischi anche per la mamma e per il figlio.  Aumentano infatti i rischi di fibromi, problemi alle tube, endometriosi che possono compromettere seriamente la fertilità. Inoltre, il declino della fertilità dovuto all’età femminile è accompagnato da un significativo aumento di aneuploidie ( anomalie nel numero di cromosomi, la più frequente è la trisomia) e di aborti spontanei. La più comune causa di aborto spontaneo è infatti la presenza di un’anomalia cromosomica nell’ovocita fecondato. Un donna di 20 anni ha il 12-15% di probabilità di incorrere in un aborto se resta incinta, mentre la percentuale sale al 40% per una donna di 40 anni.

Uno studio  pubblicato sulla rivista Human Reproduction  eseguito su oltre 34.000 donne al loro primo trattamento di fecondazione assistita con i propri ovociti (ICSI), stima che per  le donne di 30 anni, ogni 1 anno in più di età si associa ad un 11% di riduzione della probabilità di concepire una gravidanza e ad un 13% di riduzione delle probabilità di portare a termine con successo la gravidanza.

Qualora le donne con più di 35 anni si fossero sottoposte al trattamento di fecondazione assistita ICSI un anno prima, avrebbero avuto il 15% in più delle probabilità di partorire un bambino.

E’ meglio dunque non perdere tempo e, qualunque sia l’età della paziente, rivolgersi ad un ginecologo esperto di sterilità di coppia già dopo circa 8 mesi di rapporti mirati a concepire un figlio che non abbiano sortito alcuna gravidanza. Questo può consente di individuare eventuali ostacoli al concepimento e di superarli prima che sia troppo tardi.

Se si decide di avere un figlio dopo i 34 anni sarebbe utile una consulenza preventiva, soprattutto nel caso di pregresse infezioni pelviche, endometriosi, familiarità con menopausa precoce, interventi chirurgici addominali.

Circa un 25% dei casi di sterilità femminile si deve ad un fattore tubarico, cioè ad un’alterazione delle tube di Falloppio. Esse hanno la funzione di raccoglie l’ovulo liberato nell’ovulazione, di trasportare gli spermatozoi verso l’ovulo e, dopo la fecondazione di condurre l’ embrione verso l’utero. Il danno tubarico per una ostruzione tubarica parziale o completa, impedirà questo trasporto e come conseguenza non si avrà la fecondazione dell’ovocita.

Il fattore tubo-peritoneale viene spesso relazionato con la gravidanza extrauterina, che avviene quando l’embrione non giunge nella cavità uterina per alterazioni del diametro e della parte interna della tuba e si ferma perciò all’ interno di questa.

Il danno tubarico può verificarsi per infezioni genitali che risalgono dal collo dell’utero o dall’utero verso le tube (Malattia Infiammatoria Pelvica o PID) o anche dalla cavità addominale, come per esempio un’appendicite.

I germi più frequentemente implicati in una PID sono quelli sessualmente trasmessi (MST) specialmente Neisseria gonorrhoeae (che è responsabile della gonorrea), Chlamydia trachomatis e Micoplasmi (M. hominis, M. genitalium, Ureaplasma urealyticum, U. parvum ).

Queste infezioni sono responsabili di una reazione infiammatoria che poi residua in cicatrizzazioni anomale che non permettono il buon funzionamento delle tube. Si stima che un episodio di malattia pelvica acuta possa provocare il 30% di sterilità, due episodi il 50% e tre fino al 70%.

Quando nella tuba si  raccoglie liquido si parla di idrosalpinge. Essa diventa così fonte cronica potenziale di infezione ed infiammazione. Si raccomanda perciò una asportazione dell’idrosalpinge prima della realizzazione di un ciclo di PMA, visto che questo liquido può essere pregiudiziale per l’impianto di un embrione.

Pochi e deludenti sono i tentativi di ricanalizzazione delle tube danneggiate mediante  microchirurgia.

Altri fattori che potrebbero causano chiusura delle tube sono la chirurgia addominale. Essa può produrre fenomeni di aderenza a livello tubarico. Una importante e diffusa causa di chiusura delle tube è l’ endometriosi.

Esiste un’ampia relazione tra l’endometriosi e la sterilità, giacché si stima che ne soffra il 10% delle donne, che spesso arrivano ad una diagnosi certa dopo diversi anni, quando presumibilmente la malattia si è aggravata. Si stima che ben il 35% delle donne sterili soffrano di questa malattia.

L’endometrio,  il tessuto che riveste la superficie interna dell’utero ogni mese cresce e se non è avvenuta nessuna fecondazione, si sfalda dando luogo alle mestruazioni. Nell’endometriosi del tessuto simile all’endometrio si forma all’esterno dell’utero e nella maggior parte dei casi si diffonde nell’area dell’apparato riproduttivo femminile (ovaio, tube di Falloppio, legamenti dell’utero, area tra vagina e retto), ma è stato trovato anche sui genitali esterni (vagina, cervice e vulva) e sugli altri organi interni.

La spiegazione che sembra più probabile è quella della cosidetta mestruazione retrograda: durante le mestruazioni parte del sangue e delle cellule dell’endometrio in esso contenute risalgono le tube e da lì escono invadendo la cavità peritoneale, dove attecchiscono e proliferano (importanti sembrano essere, però, anche i fattori genetici e ambientali). Come l’endometrio, questo tessuto è modulato dagli ormoni prodotti dall’ovaio (in particolare gli estrogeni) per cui cresce e si sfalda ciclicamente. Non può però uscire dal corpo attraverso la vagina come nelle normali mestruazioni, per cui il sangue e le cellule endometriali in esso contenute, ristagnano generando una infiammazione cronica degli organi su cui il tessuto è cresciuto. Se le formazioni proliferano producono aderenze che irrigidiscono gli organi e ne impediscono il funzionamento: questo è il motivo per cui se sono colpiti gli organi della riproduzione (es. ovaio e tube), l’endometriosi causa l’infertilità.

Per nulla trascurabile come conseguenza della malattia una cattiva qualità degli ovociti che le donne affette da endometriosi producono.

Può colpire qualsiasi donna che abbia le mestruazioni, anche le più giovani.

Vale la pena menzionare che la maggior parte delle donne con endometriosi  presentano sintomi come la mestruazione dolorosa (dismenorrea), sterilità e dolore durante e dopo i rapporti sessuali (dispareunia), durante l’ovulazione, durante la defecazione e la minzione oppure continuativo (cronico) alla pelvi . Può provocare anche cisti ripiene di sangue ossidato  nelle ovaie, chiamate cisti endometriosiche o cioccolato per il loro aspetto marroncino. Il trattamento chirurgico in laparoscopia  migliora la fertilità della paziente, mentre i farmaci sono  più indicati nel trattamento del dolore. E’ importante perciò consultare il ginecologo e, in caso di sospetto diagnostico, è bene sottoporsi ad una laparoscopia. Solo con l’analisi del tessuto prelevato grazie a questo esame, infatti, è possisibile avere certezza della diagnosi di endometriosi. La diagnosi clinica è più difficile anche per il fatto che sintomi sono indistinguibili da quelli tipici dell’intestino irritabile o dell’infiammazione pelvica (motivo per cui spesso l’endometriosi viene diagnosticata tardi). La laparoscopia inoltre può diventare una terapia essa stessa, in quanto con un piccolo intervento endoscopico si possono asportare le formazioni endometriosiche senza intaccare gli organi. Questo intervento aumenta la fertilità soprattutto nel caso in cui vi sia minor compromissione e in cui si possa ripristinare anche la normale anatomia degli organi riproduttivi  e riduce il dolore, anche se non in modo definitivo perché la malattia può recidivare. L’intervento è meno efficace per la fertilità se lo stadio è più avanzato.

L’ ecografia pelvica, meglio se per via transvaginale, individua facilmente le cisti endometriosiche. Buoni risultati diagnostici si stanno recentemente ottenendo mediante la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) eseguita da operatori esperti.

Nel caso di endometriosi severa, specialmente se esistono cisti cioccolato, la chirurgia può essere imprescindibile prima di iniziare un trattamento di riproduzione. Il ginecologo deve fare questa valutazione, tenendo conto delle dimensioni della cisti, della riserva ovarica e la capacità di risposta dell’ovaio affetto. Curare l’endometriosi migliora anche le possibilità di successo della PMA. Se l’endometriosi è lieve o moderata è consigliata la IUI (inseminazione intrauterina) però se è compromessa la funzione tubarica, se altri trattamenti hanno fallito, o in presenza di fattore maschile, è consigliabile ricorrere alla fecondazione in vitro (IVF) che è il trattamento appropriato per la sterilità associata all’endometriosi. La gestazione sarà una terapia temporanea eccellente per il miglioramento dell’endometriosi.

È molto importante sapere che, anche se questa malattia non ha una cura, i trattamenti sono focalizzati, secondo le necessità di ogni paziente, ad alleviare il dolore, soprattutto quello mestruale, ad evitare che aumenti e, nel caso sia desiderata, ad ottenere una gravidanza.

In ogni caso, diagnosticare tempestivamente l’endometriosi è possibile e necessario. Curare l’endometriosi, soprattutto nella fase iniziale, vuol dire tutelare la propria fertilità e il proprio benessere fisico e psicologico.

Prima si realizza la diagnosi prima è possibile evitare i danni che la malattia provoca nella zona pelvica e favorire l’ insorgenza di una gravidanza. Estremamente importante è dunque la prevenzione della sterilità legata alla endometriosi.

I problemi legati all’ ovulazione rappresentano il 25 % circa delle cause di infertilità femminile e si producono come conseguenza degli squilibri ormonali contro un cattivo sviluppo ovarico. Non si verifica l’ovulazione per un non corretto funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio.  Per stabilire se durante il ciclo mestruale si ha o no un’ovulazione è già un’indicazione, il passato mestruale della paziente; è raro, infatti, che, in assenza di ovulazione, i cicli siano sempre regolari. In caso di amenorrea primitiva condizione in cui non si e’ mai avuta la comparsa delle mestruazioni, è bene verificare lo stato dell’apparato genitale per valutare se la paziente ha un utero capace di mestruare. È una delle cause di sterilita con miglior soluzione una volta stabilita la diagnosi e il trattamento. Circa il 35% delle donne, in un momento particolare della propria vita, presenta un fenomeno di anovulazione. L’origine dell’alterazione ormonale può risiedere nell’ipotalamo, nell’ipofisi o nelle ovaie stesse. Grazie ai dosaggi ormonali e’ poi possibile individuare le cause dellamenorrea. Per quanto riguarda le amenorree secondarie, s’interviene dopo un’attesa da tre a sei mesi durante i quali il ciclo non si è manifestato. Per prima cosa si esegue un test di gravidanza per essere certi che non si tratti di una maternità in corso, lecografia pelvica, meglio se per via transvaginale, consente poi di stabilire se si è in presenza di ovaie policistiche o multifollicolari, anche i dosaggi ormonali possono essere di aiuto. Frequenti sono i casi di ovaio policistico, associato ad irsutismo, acne ed obesità. Stress, disagi psicologici, anoressia, possono essere la causa di amenorree secondarie. Tra i fattori determinanti di questa situazione troviamo lo stress, la forte perdita o l’aumento importante di peso, eccessiva produzione di prolattina (ormone incaricato di produrre il latte materno) e l’ovaio policistico che merita una menzione a parte per la complessità e la frequenza.

La policistosi ovarica o sindrome dell’Ovaio Policistico anche detta malattia di Stein-Leventhal, o più semplicemente PCO, è una malattia delle ovaie. Circa il 20% delle donne presentano ovaie policistiche. Questo termine si riferisce all’aspetto che hanno le ovaie nelle ecografie, visualizzando un incremento di piccole cisti (follicoli antrali) nella zona corticale dell’ovaio.

Ci sono un gran numero di donne che presentano questo fenomeno e non hanno problemi ad ovulare e rimanere incinte ed altre alle quali vengono riscontrate queste caratteristiche ecografiche che invece hanno la Sindrome dell’ovaio policistico (PCO).

E’ una patologia cronica causata  dall’incapacità delle ovaie di produrre il corretto quantitativo ormonale . Chi soffre di ovaio policistico in genere presenta squilibri ormonali, alti livelli di LH e bassi di progesterone. Tutti questi fattori insieme rendono difficilissima la maturazione e quindi  il rilascio dell’ovulo da parte dell’ovaio. Non è noto se la disfunzione sia a carico dell’ovaio o dell’ipotalamo però, visto che può presentarsi solo in uno delle due ovaie potrebbe trattarsi di un problema localizzato nell’ovaio interessato.

In queste donne il disordine ormonale implica cicli mestruali irregolari o addirittura l’assenza di mestruazioni (amenorrea), pertanto avranno problemi a restare incinte per mancanza di ovulazione. Per comprendere meglio il processo, bisogna considerare che in una donna normale l’ovulazione normalmente avviene 12 volte l’anno. Se si ha una mestruazione ogni tre mesi, in teoria avverranno solo quattro ovulazioni l’anno e spesso, anche se avvenisse la mestruazione, può verificarsi l’anovulazione, perciò è probabile che il problema si verifichi tutto l’anno.

Spesso si associano segni di iperandrogenismo (acne o pelle grassa, aumento della crescita dei peli anche in zone tipicamente maschili come il torace, il dorso, il mento e le guance, la linea alba ombelicale). L’ aumento della peluria e l’acne sono sono legati all’ eccessiva produzione di ormoni maschili e alti livelli di testosterone.

I capelli spesso appaiono fragili e con tendenza alla calvizie. Tuttavia, bisoga precisare che esiste una grossa variabilità tra una paziente e l’altra: si va da condizioni poco sintomatiche, con sole alterazioni del ciclo, mestruale, sino a situazioni in cui si possono avere contemporaneamente amenorrea, irsutismo ed obesità.

Ci sono dei fattori di rischio che predispongono a questa patologia e sono rappresentati dal fumo, dall’eccesso di peso, da casi di diabete in famiglia e dalla presenza di persone affette dalla policistosi  tra i consanguinei.

Si è notato che spesso, in queste pazienti vi è un aumento dell’insulina circolante che potrebbe alterare il funzionamento ovario, oltre al fatto che contribuisce a determinare l’insorgenza dell’obesità e la difficoltà a combatterla.

Se non trattata la PCO, può causare sterilità. Generalmente, l’insorgenza della malattia è in epoca adolescenziale, anche se la diagnosi può essere posta, nelle forme meno gravi, intorno ai 30 anni, indagando sulle cause della sterilità.

La diagnosi s fa sia attraverso l’ecografia che mostra le ovaie ingrossate, sia attraverso i dosaggi ormonali che mettono in evidenza in genere l’ LH (ormone luteinizzante ) alto e l’ FSH (ormone follicolo stimolante ) basso. Viene anche controllata la pressione e i  livelli di glucosio nel sangue per verificare se esiste resistenza all’insulina.

Non c’è una vera e propria cura per la policistosi ovarica. Ci sono dei  farmaci che attenuano i sintomi  e che devono sempre e comunque essere prescritti da un medico.

In caso di ragazze molto giovani, che al momento non desiderino una gravidanza, la pillola contraccettiva rappresenta una buona scelta, anche per preservare l’ovaio da un’eccessiva distruzione dei follicoli che potrebbe portare ad infertilità in età più avanzata. Se la paziente presenta anche segni di iperandrogenismo possono essere prescritti farmaci con attività anti-androgena. Oltre a provvedimenti estetici locali..

Perder peso però rimane uno di punti cardine, è importante non scoraggiarsi e continuare con costanza e, anche se i risultati arrivano lentamente, mai smettere di perseverare. Riducendo il grasso corporeo  si aumenta la secrezione di insulina e quindi si abbassano gli zuccheri e anche gli ormoni maschili in eccesso. Chiaramente è sempre consigliata l’attività fisica, basta una passeggiata a passo svelto di 30 minuti per 2-3 volte alla settimana.

Evitate anche lo stress perchè questo determina il rilascio di testosterone dalle ghiandole surrenali.

Se nonostante queste misure non si riescono a regolarizzare i cicli mestruali e l’ovulazione, il passo successivo è costituito da trattamenti medici per regolarizzare la funzione ormonale e stimolare l’ovulazione specialmente mediante il citrato di clomifene. Il passo successivo è la fecondazione in vitro (IVF) che deve essere gestita da mani esperte per l’ umentato rischio in queste pazienti di eccessiva risposta ai farmaci utilizzati per l’ induzione dell’ ovulazione (OHSS).

E causata da una eccessiva secrezione dell’ormone ipofisario prolattina. Spesso la paziente ha amenorrea e galattorrea. Il dosaggio ematico della prolattina deve essere eseguito più volte: questo ormone è sensibile agli stress ed al fumo di sigaretta e l’esito dell’esame potrebbe essere falsato.

Esiste una ampia variabilità genetica nel timing della menopausa probabilmente legata all’ entità patrimonio follicolare ed alla velocità del suo depauperamento.

Nella elaborazione e personalizzazione del protocollo di stimolazione follicolare e nella quantificazione delle percentuali di successo é importante la valutazione della riserva ovarica, ossia di quanti ovociti sono rimasti. I metodi valutativi a disposizioni sono :

dosaggio dell’FSH, dell’ estradiolo (E2)

dosaggio dell’AMH (ormone antimulleriano)

Conta dei follicoli antrali.

Anche in presenza di mestruazioni regolari è possibile che gli esami ormonali mettano in evidenza alti valori dellFSH. Ciò significa, nella maggioranza dei casi, che la menopausa è vicina anche se è impossibile stabilire esattamente quando arriverà. In questi casi è bene eseguire lesame più volte per evitare di arrivare al momento in cui si vuole intervenire e trovarsi davanti ad un ovaio che ha concluso il suo ciclo produttivo. Valori superiori a 15 UI/l con prelievo effettuato in fase follicolare precoce,  indicano una importante riduzione della riserva ovarica, della qualità ovocitaria e dell’ aspettativa di gravidanza.

Per una valutazione completa della riserva ovarica  é necessaria una valutazione contemporanea di FSH e 17 beta estradiolo : un valore elevato di 17-beta-estradiolo ( >60 pg/ml) può esercitare un meccanismo di feed-back negativo sullipofisi anteriore abbassando i valori dellFSH. Sembra accertato  che la presenza di valori sierici elevati basali di 17-beta-estradiolo sarebbero testimonianza e prova indiretta di momentanei innalzamenti dell’FSH basale e quindi di un più precoce reclutamento follicolare. L’aumento dell’estradiolo basale sarebbe un marker della riserva ovarica simile all’FSH basale ma più precoce che permette di sospettare una riduzione della riserva ovarica ancora prima che si innalzino i livelli sierici basali di FSH.

L’AMH è essenziale nel feto per la regressione dei dotti mulleriani e lo sviluppo dell’organo sessuale maschile.

L’AMH è prodotto dalle cellule del Sertoli testicolari nell’uomo e dalle cellule della granulosa nella donna.

La produzione di AMH nella donna è di circa 3 ng/mL nell’età infantile e 2 ng/mL nell’età adulta.

L’AMH raggiunge valori nulli con la menopausa. Valore alto (spesso PCOS) Oltre 3.0 ng/ml – Valore normale Oltre 1.0 ng/ml Basso 0.3 0.9 ng/ml Molto basso Meno di 0.3 ng/ml

Valori inferiori a 0.9  indicano una importante riduzione della riserva ovarica, della qualità ovocitaria e dell’ aspettativa di gravidanza.

Si esegue mediante una ecografia transvaginale tra il secondo ed il quarto giorno del ciclo mestruale. I follicoli antrali sono i follicoli il cui diametro massimo è tra i 2 e gli 8  mm. Una normale conta evidenzia un numero di follicoli antrali tra ovaio destro e sinistro superiore a 10. Valori inferiori a 10 indicano una importante riduzione della riserva ovarica, della qualità ovocitaria e dell’ aspettativa di gravidanza.

La diagnosi di insufficienza funzionale del corpo luteo non è semplice. La fase luteale è rappresentata da quel periodo (solitamente 11-16 giorni) che inizia con l’ovulazione e termina con la mestruazione. Durante questa fase l’ovaio produce estrogeni e progesterone, al fine di preparare l’endometrio ad accogliere l’ovocita fecondato e a consentirne lo sviluppo. Se la fase luteale dura meno di 10 giorni si parla di insufficienza luteale, caratterizzata da durata dell’ intervallo troppo breve e da una scarsa produzione di progesterone. L’endometrio non riesce a svilupparsi abbastanza da consentire l’impianto. Il risultato è dunque una sorta di falsa infertilità: la fecondazione può anche avvenire ma l’embrione non trova un ambiente adatto in cui impiantarsi.

Le cause di questa patologia possono essere molte, ad esempio:

una scarsa qualità del follicolo, che comporta la formazione di un corpo luteo difettoso e incapace di produrre una quantità sufficiente di progesterone;

una decadenza prematura del corpo luteo, che – per motivi ignoti – si dissolve prima del previsto, smettendo di produrre progesterone in anticipo.

Le disfuzioni della tiroide possono interferire con la fertilità, causando irregolarità mestruali e disturbi dell’ovulazione.

E soprattutto l’ipotiroidismo a interferire con la fertilità. In primo luogo il rallentamento generale del metabolismo che si ha nell’ipotiroidismo provoca un rallentamento anche del metabolismo degli ormoni sessuali e in particolare dell’FSH, la cui quantità di conseguenza può aumentare. In secondo luogo quando la tiroide non lavora abbastanza l’ipotalamo e lipofisi cercano di stimolarla aumentando la quantità di TRH (thyroid-releasing hormone, ormome di rilascio della tireotropina) e di TSH (thyroid-stimulating hormone, ormone tireostimolante), e questo provoca a sua volta un aumento della prolattina che può causare iperprolattinemia.

E invece meno chiaro il nesso tra infertilità e ipertiroidismo, tanto che molti ritengono che l’associazione tra i due problemi sia spesso solo una pura coincidenza. L’ipertirodismo può causare una diminuzione nella quantità di estrogeni, che a sua volta può causare problemi allo sviluppo dell’endometrio e sanguinamenti anomali durante il ciclo.

Sia un forte ipotiroidismo che un forte ipertiroidismo danno sintomi che vanno ben oltre i disturbi del ciclo mestruale, dunque in genere entrambi i problemi vengono diagnosticati a prescindere dall’infertilità. Per quanto riguarda i cicli mestruali, nell’ipotiroidismo i cicli si allungano e il sangue è più scarso, mentre nell’ipertiroidismo i cicli tendono ad accorciarsi e il sanguinamento è abbondante; in entrambi i casi possono esserci cicli irregolari e anovulatori.

La diagnosi viene fatta tramite il dosaggio nel sangue degli ormoni tiroidei, cioè TSH, T3, T4, FT3, FT4, ai quali si aggiunge, per la diagnosi di una eventuale tiroidite autoimmune, la ricerca degli autoanticorpi tiroidei.

La terapia è farmacologica nel caso dell’ipotiroidismo, mentre per l’ipertiroidismo può essere farmacologico o chirurgica a seconda di qual è la causa del problema.

E così definita la sterilità sine causa. Nonostante gli esami eseguiti sulla coppia, non è stato possibile trovare una causa di sterilità . Essa rappresenta il 10 . 15 %  del fenomeno sterilità. Si arriva a formulare questa diagnosi quando la coppia, dopo due anni di rapporti non protetti e regolari, non ha avuto alcun concepimento e quando sia le visite specialistiche che gli esami effettuati non hanno evidenziato problemi.

In una piccola percentuale di casi nonostante gli spermatozoi del partner maschile siano, perfettamente normali e potrebbero risalire il canale cervicale e raggiungere utero e tube, la gravidanza non avviene.

La cervice uterina ha una funzione importante nel processo riproduttivo attraverso la formazione di muco da parte delle ghiandole cervicali. In alcuni casi la sterilità cervicale è da attribuire ad un muco che non consente la risalita degli spermatozoi nel canale cervicale. I fattori infettivi sono la causa principale poiché causano cerviciti acute e croniche. Altre cause sono l’ ectropion, gli esiti di una diatermocoagulazione o fattori immunologici. I fattori funzionali possono manifestarsi attraverso l’ assenza o la scarsità di muco cervicale, per fattori ormonali.

La procreazione medicalmente assistita (PMA) si avvale di tecniche di base o I livello, semplici e poco invasive e di tecniche avanzate o di II e III livello, complesse e più invasive.

TECNICHE DI PRIMO LIVELLO

Inseminazione artificiale

Per inseminazione artificiale la maggior parte delle volte si intende la inseminazione intrauterina, cioè una tecnica di procreazione medicalmente assistita nella quale vi è l’introduzione del liquido seminale all’interno della cavità uterina (IUI) In questo tipo di inseminazione è necessaria una idonea preparazione del liquido seminale.

Quando viene consigliata? Può essere consigliata in tutti i casi di incompatibilità fra muco cervicale e liquido seminale perché permette di superare il tratto cervicale e di immettere gli spermatozoi direttamente in utero. Può essere consigliata:

– in tutti i casi di sterilità inspiegata;

– nei casi di infertilità maschile di grado lieve moderato;

– nei casi di ripetuti insuccessi di induzione della gravidanza con stimolazione dell’ovulazione e rapporti mirati (rapporti che si hanno durante i giorni della probabile ovulazione; es. in un ciclo regolare che dura 28 giorni i probabili giorni fecondi durante i quali si verifica l’ ovulazione sono dal 12 al 14 giorno considerando come giorno 1 il primo giorno del ciclo mestruale)

– nei casi di patologie sessuali nelle quali sia difficile o impossibile avere un rapporto sessuale completo.

– alle coppie con un problema di infertilità maschile lieve, sterilità inspiegata o endometriosi minima o moderata possono essere offerti fino a sei cicli monitorizzati di inseminazioni intrauterine perchè questo protocollo aumenta le possibilità di ottenere una gravidanza.

TECNICHE DI SECONDO E TERZO  LIVELLO

Fecondazione in Vitro e Trasferimento dell’embrione (FIVET)

È una tecnica di PMA in cui i gameti (ovocita per la donna e spermatozoo per l’uomo) si incontrano all’esterno del corpo della donna e dopo la fecondazione e la produzione di uno o più embrioni questi vengono trasferiti nell’utero

Quando viene consigliata? Questa tecnica viene consigliata nei casi di:

– fattore tubo-peritoneale: patologia tubarica acquisita o congenita (precedente gravidanza ectopica, precedenti aborti tubarici, anamnesi positiva per flogosi pelvica, interventi chirurgici sulla pelvi);

– infertilità maschile di grado moderato: quando il trattamento medico chirurgico o inseminazioni intrauterine non hanno dato risultati o sono stati giudicati non appropriati;

– endometriosi di III o IV grado;

– endometriosi se la chirurgia o le inseminazioni intrauterine non hanno dato risultati o sono state giudicate non appropriate;

– infertilità inspiegata se il trattamento precedente (es: cicli di inseminazione) non ha dato risultati o è stato giudicato non appropriato;

– seme crioconservato in relazione alla qualità seminale successiva allo scongelamento;

– fallimento dell’iter terapeutico di tecniche di I livello.

Microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI)

Questa metodica si utilizza insieme alla FIVET, ed anche in questo caso l’incontro dei gameti avviene all’esterno del corpo della donna. Consiste in una diversa modalità di fecondazione dell’oocita che avviene con l’iniezione di un singolo spermatozoo all’interno del citoplasma per poi, dopo l’avvenuta fecondazione, procedere al trasferimento degli embrioni nell’utero.

Quando viene consigliata?

Questa tecnica viene consigliata nei casi di:

– infertilità maschile di grado severo;

– azoospermia ostruttiva e secretiva (spermatozoi testicolari o epididimari);

– mancata o ridotta fertilizzazione in precedenti cicli di fertilizzazione in vitro (FIV);

– ovociti scongelati;

– ridotto numero di ovociti;

– seme crioconservato in relazione alla qualità seminale successiva allo scongelamento.

Trasferimento intratubarico di gameti (GIFT). È una metodica ormai di raro utilizzo. Prevede il prelievo degli oociti per via transvaginale ecoguidata o per via laparoscopica e il trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili per via laparoscopica o transvaginale (ecoguidata o isteroscopica). La tecnica è stata utilizzata per le stesse indicazioni previste per le tecniche di I livello (e richiede la normalità morfo-funzionale di almeno una tuba). Viene consigliata alle coppie che esprimono il desiderio di evitare una fecondazione extracorporea.

Trasferimento intratubarico di zigoti od embrioni (ZIFT TET). È una metodica ormai quasi inutilizzata. Prevede il prelievo degli ovociti per via transvaginale ecoguidata; la fecondazione in vitro degli oociti; il trasferimento intratubarico degli zigoti o degli embrioni per via laparoscopica o transvaginale (ecoguidata o isteroscopica).

L’ovodonazione è una tecnica di fecondazione eterologa  praticata per la prima volta negli USA nel 1983. Fino al 2004 nel nostro paese era possibile accedere alla fecondazione eterologa, purché il donatore fosse anonimo e la donazione di ovuli o spermatozoi non avvenisse in cambio di denaro. Nel riordino di tutta la normativa, sfociata nella legge 40, si è deciso di vietare il ricorso alla fecondazione eterologa.  Nel 2014 la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, aprendo di fatto nuovamente le porte all’utilizzo di questa tecnica anche in Italia. Una coppia con problemi di sterilità o infertilità irreversibile, può ora ricorrere anche da noi alla donazione di gameti (ovociti e/o spermatozoi) esterni alla coppia stessa, ossia potrà sottoporsi o ad inseminazione intrauterina con seme di donatore, oppure alla FIVET/ICSI (Fecondazione in vitro), con ovociti e/o spermatozoi ottenuti da donatori.

L’ ovodonazione,  è una tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo che prevede la donazione di ovociti da parte di donne normalmente fertili e sane a donne riceventi che hanno una situazione ginecologica tale da non poter avere figli con i propri ovociti.

Il patrimonio ovocitario della donna si forma alla nascita  e gli ovociti invecchiano con la donna, a differenza degli spermatozoi che vengono prodotti ciclicamente. Dopo una certa età (in genere 35 anni) la loro qualità inizia a peggiorare e si riduce progressivamente la probabilità di avere una gravidanza. Per tale motivo spesso si consiglia l’ovodonazione a tutte le donne sopra i 42 anni.

Anche le donne già in menopausa  (fisiologica o precoce) possono ricorrere all’ovodonazione, effettuando un opportuno trattamento ormonale per ristabilire fittiziamente il ciclo e preparare l endometrio all’impianto dell’embrione.

La donazione di ovuli rende possibile il miracolo della vita in donne che non potrebbero altrimenti avere figli. Grazie all’ ovodonazione la donna ricevente vedrà realizzato il sogno di una maternità spesso a lungo ma invano inseguita e grazie all’aiuto di un’altra donna.

Le riceventi sono schematicamente rappresentate da :

1) Donne con assenza di mestruazioni per menopausa, danno ovarico (fattori ereditari, aver sofferto di processi infettivi, essere state sottoposte a chemioterapia o radioterapia, ecc.) o per pregressa chirurgia ovarica.

2) Donne normalmente mestruate, che rispondono poco o per nulla alla stimolazione ovarica, nelle quali non si è ottenuta fecondazione degli ovociti dopo ripetuti tentativi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) o nelle quali si sono verificati fallimenti multipli di impianto embrionale.

3) Donne oltre i 40 anni, che hanno avuto scarsi successi con la PMA utilizzando i propri ovociti per la cattiva qualità degli stessi.

4) Donne portatrici di malattie genetiche che vogliono azzerare il rischio di trasmettere la propria malattia alla prole e che non può essere identificata attraverso la Diagnosi Genetica Preimpianto.

L’ ovodonazione è perciò sostanzialmente indicata nel caso di ripetuti insuccessi di fecondazione artificiale condotta con gli ovociti della paziente o nel caso in cui gli esami clinici sulla paziente mostrano che non produce ovociti o che ne produce in scarsa quantità o qualità, rendendo praticamente nulle le possibilità di iniziare o di portare a termine una gravidanza, anche attraverso le tecniche di fecondazione assistita.

L età delle riceventi influisce poco sull’ esito dell’ovodonazione; le possibilità di successo sono sostanzialmente costanti rispetto all’età.

Le donatrici sono donne sane, di giovane età (18-34 anni), di provata fertilità (meglio se hanno avuto già un figlio sano) e buone produttrici di ovociti.

Le donatrici sono anonime e vengono sottoposte a tutti i test per escludere che abbiano malattie infettive o ereditarie.

La buona qualità dei loro ovociti  assicura anche un basso rischio di aborto. Tutti gli ovociti sono a disposizione delle destinatarie dell ovodonazione.  In questo caso i tassi di successo per ogni tentativo sono alti ( sino al 70% con embrioni non congelati ); ovviamente anche i costi sono maggiori poichè occorre generalmente pagare la donatrice.

L’ovodonazione può avvenire in due diversi scenari :

Spesso queste donne non hanno livelli altissimi di fertilità e comunque esse tengono per sè almeno la metà degli ovociti, e in certi casi hanno la possibilità di tenere i migliori, per cui quelli che arrivano alla destinataria dell’ ovodonazione in genere non sono molto fertili e i tassi di successo per ogni tentativo non sono altissimi (vedete ad esempio le percentuali nei centri britannici dove si fa questo tipo di ovodonazione). In alcuni Centri alle donatrici vengono loro corrisposte soltanto le spese, in altri ove si utilizzano ovociti soprannumerari derivanti dal ciclo di PMA al quale la donatrice si è sottoposta per suo conto non pagano il loro trattamento se accettano la ovodonazione.

Le donatrici vengono scelte in base alle caratteristiche somatiche delle riceventi e dunque ogni caso viene valutato e studiato singolarmente.

I tempi d’attesa per la selezione della donatrice sono di circa due mesi ma in alcuni casi è necessario aspettare anche un pò di più. I tempi potrebbero allungarsi come  nel caso di una donatrice con gli occhi azzurri o altre caratteristiche somatiche meno frequenti.

Con l’ovodonazione il rischio di aborto è contenuto e circa una gravidanza su dieci va perduta per questo motivo poiché gli ovociti provengono da donatrici giovani ed hanno un’ alta capacità di impianto.

L’ovodonazione si realizza essenzialmente in tre fasi:

Spesso con l’ ovodonazione si ottengono più embrioni di quelli necessari per il primo tentativo e quelli non utilizzati possono essere congelati per usarli se il primo tentativo fallisce;  il costo per il loro successivo trasferimento è molto più contenuto. Le probabilità di avere embrioni da congelare variano in relazione ai diversi protocolli di stimolazione applicati alle donatrici dai diversi Centri ed alla risposta della donatrice alla stimolazione.

L’anonimato dei bimbi nati con l’ ovodonazione è totale. La legge di tutti i Paesi ove si può eseguire l’ovodonazione, proibisce espressamente di rivelare l’identità dei bambini nati attraverso queste tecniche. Le donatrici non potranno mai conoscere i bambini, né questi ultimi le donatrici.

E un tipo di trattamento cosiddetto di primo livello. Il razionale di queste tecniche è quello di aumentare le possibilità statistiche dell’ incontro tra spermatozoi ed ovociti, selezionando i più vitali tra i primi e ponendoli più vicini all’ ovocita, oppure aumentando il numero degli ovociti a disposizione degli spermatozoi o attivando l’ uno e l’ altro meccanismo contemporaneamente. Infatti dopo un normale rapporto sessuale alcune decine o centinaia di milioni di spermatozoi sono deposti nel fornice vaginale posteriore. Nell’ ora successiva solo lo 0,1% di questi è presente nel canale cervicale, mentre il plasma seminale, ricco di batteri e prostaglandine, rimane in vagina.

Gli spermatozoi che superano il canale cervicale giungono rapidamente e facilmente nelle ampolle delle tube di Falloppio, già dopo 5 minuti. E’ stato calcolato che solo 1 spermatozoo ogni 14 milioni di spermatozoi mobili deposti in vagina raggiunga il posto dell’ incontro con l’ ovocita.

Se viene facilitata questa risalita ponendo degli spermatozoi molto mobili nella cavità uterina dovremmo facilitare le possibilità di un loro incontro con gli ovociti, specie in quei maschi con lieve oligoastenospermia. Nel caso opposto di uomini con valori ottimali di seme, l’ induzione dell’ ovulazione multipla consente una maggior disponibilità di ovociti maturi per la loro captazione da parte delle fimbrie tubariche ed un miglioramento delle concentrazioni ormonali che si accompagnano all’ ovulazione e determinano la possibilità di nutrimento e di trasporto tubarico ottimali e quindi una facilitazione dell’ impianto in un endometrio ben preparato dagli steroidi.

L’ insieme delle due tecniche: induzione dell’ ovulazione multipla e la selezione del seme, consente di ottenere risultati ancora più vantaggiosi, in coppie adeguatamente selezionate.

La prima inseminazione risale al 1770. Jhon Hunter introdusse liquido seminale nel canale cervicale di una paziente desiderosa di prole.

Si introduce nella cavità uterina, per via vaginale, con un sottile catetere di plastica il liquido seminale del coniuge trattato precedentemente. Tale trattamento si definisce capacitazione ed è il lavoro che fa il biologo concentrando gli spermatozoi migliori da inseminare in vitro, da quelli poco mobili e da tutte le sostanze che compongono il liquido seminale. Tale trattamento non comporta lesecuzione di anestesia, è completamente indolore, si esegue nel periodo fecondo, dura in tutto unora e mezza circa (unora per la capacitazione e circa mezzora dopo linseminazione perché la paziente resta sul lettino per agevolare il percorso degli spermatozoi in cavità uterina). È il metodo meno costoso e ripetibile. Statisticamente da una percentuale di successo del 15/20%, la gravidanza avviene in media al 3°/4° ciclo, ma non si continua per più di 6 cicli .

 Inseminazione intra-uterina ( IUI )

Affinchè l’inseminazione artificiale abbia successo è imprescindibile che almeno una delle tube di Falloppo sia permeabile. Inoltre, lo sperma dell’uomo deve soddisfare i requisiti minimi seminali.

Il trattamento di inseminazione artificiale si divide in tre fasi:

1. La stimolazione dell’ovario con ormoni insieme all’induzione dell’ovulazione. Benchè l’inseminazione artificiale può essere effettuata utilizzando un ciclo naturale (senza stimolazione ovarica), la stimolazione ovarica con ormoni comporta lo sviluppo di non più di tre follicoli, a seguito dell’induzione farmacologica dell’ovulazione, che consente di disporre di più ovuli che possono essere fecondati in modo naturale aumentando così la possibilità di raggiungere la gestazione.

2. La preparazione del seme consiste nel selezionare e concentrare gli spermatozoi mobili, poiché la bassa mobilità degli stessi è uno dei fattori negativi per l’ottenimento di una gravidanza. Per questo si processano i campioni mediante tecniche di capacitazione o preparazione del liquido seminale. Con queste tecniche di lavaggio e capacitazione si eliminano i residui cellulari, gli spermatozoi morti, immobili o lenti. Alla fine si ottiene, in un volume minimo, una concentrazione di spermatozoi con maggior mobilità e maggior capacità di fecondazione. La tecnica più utilizzata per questo procedimento è lo swim up (gli spermatozoi più rapidi ascendono in un ambiente fluido).

3. L’inseminazione si realizza in ambulatorio autorizzato: non è necessario l’uso di nessun tipo di anestesia e non è fastidiosa. Normalmente l’inseminazione si realizza dopo aver provocato l’ovulazione. Si dovrà fornire al laboratorio un campione di seme. Una volta pronto il campione, si deposita con una cannula speciale dentro l’utero. Dopo aver depositato il seme, la donna dovrà restare a riposo per qualche minuto.

Quali coppie possono optare per l’inseminazione artificiale?

1. Coppie con sterilità di origine sconosciuta, ovvero quelle in cui, dopo uno studio base di sterilità (che include spermiogramma per l’uomo e studi ormonali basali, ecografia e isterosalpingografia per quanto riguarda la donna) non si è potuta trovare una causa della stessa.

2. Coppie in cui la donna non ovula normalmente (cosa che accade con maggior frequenza nelle donne che soffrono della sindrome dell’ovaio policistico) o che presenta difetti nel muco cervicale che lo rendono un ambiente ostile per gli spermatozoi.

3. Coppie in cui l’uomo presenta lievi difetti nel seme. Per esempio, la concentrazione o la mobilità non è quella adeguata (oligozoospermia o astenozoospermia) o anche, cosa però meno frequente, soffre di un’anomalia nei genitali che impedisce il coito e/o rende difficile l’eiaculazione.

Complicazioni della tecnica

Anche se normalmente non dovrebbero esserci complicazioni, molto dipende dall’esperienza dell’équipe medica che realizza l’inseminazione. Le complicazioni più abituali sono le gravidanze multiple che, come abbiamo già detto, rappresentano il 15% dei casi, e l’iperstimolazione ovarica che, tenendo conto che si utilizzando dosi basse di stimolanti, normalmente è lieve. Altre complicazioni, come l’infezione genitale, sono oggigiorno quasi inesistenti.

Tasso di gestazione

In quanto ai risultati ottenuti dall’IUI con inseminazione artificiale, quando parliamo di inseminazione con seme del proprio partner il tasso di gestazione per ciclo è del 20%. Ovvero, ogni 100 cicli di inseminazione 20 terminano con una gestazione, e di 100 coppie che completano 4 cicli, 60 raggiungono la gestazione.