Età femminile e capacità riproduttiva

Età femminile e capacità riproduttiva

Nei paesi occidentali si è registrato uno spostamento in avanti dell’età del primo concepimento soprattutto dalla fine degli anni 70 in poi. Nell’Italia del baby boom nascevano poco più di 1˙000˙000 di bambini all’anno tant’è vero che all’inizio degli anni 70 si assisteva al fenomeno dei doppi turni nelle scuole medie delle grandi città per mancanza di aule. Dagli anni 70 in poi, invece, il numero dei nati è calato progressivamente, fino ai circa 500˙000 bambini l’anno della fine degli anni 90. Lo spostamento in avanti dell’età del primo concepimento nei paesi occidentali è dovuto ad una serie di fattori socioculturali. Dagli anni 50 in poi la società occidentale si è trasformata da prevalentemente rurale in industriale o post-industriale. Si è assistito, in Italia, a forti flussi migratori interni dal Sud al Nord, soprattutto verso le grandi città, con il verificarsi di difficoltà legate alla logistica abitativa e alla distanza dal nucleo familiare di origine riguardo ad assistenza e collaborazione nella gestione della prole. E aumentata la scolarità della popolazione, quindi anche della popolazione femminile per cui l’accesso delle donne ad una serie di professioni con possibilità di carriera ha fatto spesso dilazionare nel tempo la ricerca della prima gravidanza. L’aumento del costo della vita in generale, e della casa in particolare, una serie di influenze dei mezzi di informazione su comportamenti, stili di vita e finalità della vita stessa non sono stati di grande aiuto verso il desiderio di riprodursi. Le informazioni sulle possibilità e i progressi della fecondazione assistita hanno spesso creato aspettative eccessive nella popolazione, se non illusioni, frutto di errata comunicazione o comprensione. L’ associazione tra aumento dell’ età materna e diffusione dell’infertilità femminile, o riduzione dell’ efficacia delle terapie dell’infertilità, e nota da tempo. Secondo un recente parere del Comitato di Ginecologia del Collegio di Ostetrici e Ginecologi americano e del “Comitato della Società Americana di Medicina della Riproduzione” la fertilità femminile è strettamente correlata all’età riproduttiva ed è seriamente compromessa già prima dell’esordio delle irregolarità mestruali che precedono la menopausa. È di essenziale importanza che le donne che desiderano una gravidanza siano informate e consapevoli dell’impatto dell’età sulla fertilità, anche attraverso un servizio di counselling. Le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre di una tempestiva diagnosi e trattamento già dopo sei mesi di fallimento nel tentativo di concepire, o anche prima se esiste una precisa indicazione clinica.

Il declino della fertilità femminile, correlato all’età, dipende dalla riduzione irreversibile della quantità e della qualità degli ovociti presenti nelle ovaie. Con il passare degli anni, il numero di ovociti nelle ovaie declina per un processo naturale (atresia). La quantità massima di ovociti (6-7 milioni) è presente nell’effetto femminile intorno alla 20ª settimana di gestazione. Già alla nascita, però, la bambina ha una quantità di ovociti nettamente inferiore (1-2 milioni), quantità che diventerà di 300-500.000 alla pubertà, di 25.000 all’età di 37 anni, e infine di soli 1000 ovociti all’età di 51 anni (età media dell’esordio della menopausa negli Stati uniti). In tutta la vita riproduttiva, una donna non avrà più di 350-400 ovulazioni.
32 anni e 37 anni sono le due età femminili in cui si registrano dei cambiamenti significativi nella fertilità. La fecondità (cioè la possibilità di concepire per ciclo mestruale) subisce un primo calo significativo, anche se graduale, già intorno ai 32 anni, e un secondo più rapido declino dopo i 37 anni (il che riflette una diminuzione della qualità degli ovociti e un aumento dei livelli sanguigni dell’ormone follicolo stimolante FSH). I meccanismi biologici sono ancora poco conosciuti, ma sembrano riguardare diversi fattori codificati dai geni presenti sul cromosoma X e sugli altri cromosomi
L’età in se stessa ha un impatto negativo sulla fertilità, indipendentemente dal contesto socio-economico. L’ età in se stessa a un impatto negativo sulla fertilità, indipendentemente dai fattori socioeconomici. Questo dato è confermato dai dati relativi a popolazioni di epoche diverse dalla nostra (come le popolazioni europee dei secoli scorsi), in cui non era diffuso l’uso di metodi contraccettivi efficaci. I dati raccolti suggeriscono che il tasso di fertilità diminuisce con l’aumentare dell’età delle donne. Occorre tener presente, però, che anche la frequenza dei rapporti sessuali tende a ridursi con l’età e questo fattore ha statisticamente una certa rilevanza. Uno studio francese divenuto oramai un classico della letteratura scientifica sull’argomento è tuttavia riuscito a separare due fattori (comportamento sessuale ed età) dimostrando in modo inequivocabile l’impatto dell’età femminile sull’infertilità.
Anche il risultato delle tecniche di procreazione medicalmente assistita è penalizzato dall’età della donna. Lo studio francese di cui sopra è stato condotto su donne fertili che a causa dell’infertilità del coniuge, hanno fatto ricorso alla donazione di sperma. Esso ha registrato la seguente tendenza nelle percentuali di gravidanze ottenute in 12 cicli d’inseminazione con seme di donatore:
-in donne con età inferiore ai 31 anni: 74% di gravidanze
-in donne con età dai 31 ai 35 anni: 62% di gravidanze
-in donne con età superiore ai 35 anni: 54% di gravidanze
Risultati simili sono stati ottenuti in studi analoghi condotti negli Stati Uniti. Dati registrati nel 2006 riguardanti cicli di fecondazione assistita con trasferimento di embrioni effettuati nei centri statunitensi hanno dimostrato che la percentuale di nati vivi da trasferimento di embrioni decresce progressivamente con l’aumentare dell’età della donna:
-in donne con meno di 35 anni è del 44,9%
-in donne dai 35 ai 37 anni è della 37,3%
-in donne dai 38 ai 40 anni e del 26,5%
-in donne dai 41 ai 42 anni e della 15,2%
-in donne dai 43 ai 44 anni e delle 6,7%
invece, se si usano ovociti di donatrice giovane, l’età della donna su cui viene effettuato il trattamento non ha praticamente più importanza: la percentuale di trasferimenti che hanno portato alla nascita di bambini vivi si attesta intorno al 54%, indipendentemente dall’età della donna.

Con l’età aumentano i rischi per la madre e per il bambino. Con l’età aumenta il rischio di disordini che possono compromettere la fertilità come i fibromi, problemi alle tube, endometriosi. Le donne che hanno già subito operazioni alle ovaie, chemioterapie, radioterapie o che hanno avuto una grave endometriosi, una infezione pelvica, che hanno fumato o hanno una storia familiare di donne con menopausa precoce, possono correre più rischi di un declino prematuro del loro patrimonio ovarico (la cosiddetta riserva ovarica). Inoltre, il declino della fertilità dovuto all’età femminile è accompagnato da un significativo aumento di aneuploidie cioè alterazioni del corredo cromosomico per eccesso o per difetto del singolo ovocita, alterazioni dell’integrità del fuso mitotico, cioè della struttura che permette l’appaiamento delle coppie di cromosomi prima della divisione cellulare, e arresti metabolici, ovvero il blocco di alcuni processi metabolici della cellula uovo, come produzione di proteine o acidi nucleici, ecc. Le trisomie, cioè la presenza di un cromosoma in più rispetto alla normale coppia, dell’ovocita, che hanno una frequenza di meno del 2% nelle donne al di sotto dei 25 anni, aumentano a più del 35% al di sopra dei 40 anni. Aumentano dunque perciò anche gli aborti spontanei. Anche tra gli embrioni già selezionati in base alla loro morfologia normale e destinati all’impianto, si è registrata la prevalenza (cioè la percentuale in un tempo dato) di aneuploidie correlata all’età materna. È più alto in misura significativa anche il tasso di aborti, anche in un’epoca successiva alla prima verifica del battito cardiaco. Pur considerando che il 9,9% delle donne con meno di 33 anni che ottengono una gravidanza durante un ciclo di fecondazione assistita a fresco (cioè con materiale biologico non crioconservato), vanno incontro ad un aborto spontaneo prima che sia stata rilevata l’attività cardiaca del feto, va comunque osservato che il tasso di aborti spontanei aumenta progressivamente con l’età della donna:
-in donne tra i 33 ed i 34 anni è dell’11,4%
-in donne tra i 35 ed i 37 anni è dell’ 13,7%
-in donne tra i 38 ed i 40 anni è del 19,8%
-in donne tra i 41 ed i 42 anni è delle 29,9%
-in donne con più di 42 anni è del 36,6%.
In tutte le casistiche di fecondazione assistita e nei report dei registri americani, europei e di alcuni singoli paesi, l’associazione tra aumento dell’età materna e peggioramento dei risultati è costante. E noto anche che, all’aumentare dell’età, oltre alla minore probabilità di ottenere una gravidanza, c’è anche un incremento delle gravidanze che non si concludono positivamente, in quanto aumentano gli aborti spontanei. L’età della donna rimane comunque il più significativo fattore di predizione dei risultati delle tecniche di PMA ed è tra i fattori di prognosi il più importante degli altri indicatori di riserva ovarica (termine che definisce il potenziale di sviluppo di cellule uovo da parte delle ovaie). Fra questi ultimi sono importanti :

– livello di FSH

– concentrazione di inibina B: polipeptide prodotto dai follicoli pre-antrali la concentrazione del quale è indicativa della riserva ovarica

– livello di ormone antimulleriano (AMH): polipeptide prodotto dalle cellule della granulosa dei follicoli (una delle membrane che li avvolgono) in quantità costante durante il ciclo

– volume ovarico misurato ecograficamente

– numero dei follicoli preantrali, cioè i follicoli di 3-4 mm di diametro destinati ad essere reclutati dall’FSH e poi stimolati.

D’altra parte, i livelli di AMH e la conta follicolare sono strettamente correlati all’età. Anche le abitudini di vita, come il fumo, i dismetabolismi come obesità e diabete, le malattie endocrine, come iperprolattinemia e alterazioni della funzione della tiroide, e precedenti interventi sulle ovaie hanno comunque un impatto, anche se meno importante, dell’età materna. Recenti studi hanno indicato un aumento di anomalie cromosomiche anche a livello spermatico, collegato all’età, che porterebbe ad un incremento della frequenza di aborti. Nei paesi occidentali, la percentuale delle pazienti al di sopra dei 34 anni che effettuano cicli di PMA varia dal 45% dell’Europa (Nyboe Andersen 2008) al 60.3% degli Stati Uniti (SART 2004). In Italia, nel 2006 (ISS 2008), su 100 donne che hanno iniziato un ciclo di fecondazione assistita, il 62.1% aveva più di 34 anni. Il primo aspetto, di un ciclo di PMA, su cui l’età avanzata incide è la risposta alla stimolazione farmacologia dell’ovulazione, e quindi la possibilità di prelevare un numero sufficiente di ovociti di buona qualità. Il Registro Americano (SART 2004) ha riportato, per l’anno 2000, una frequenza di gravidanza, in rapporto al trasferimento di embrioni, del 38.9% in donne al di sotto dei 35 anni, del 24.9% in quelle tra i 38 e i 40 anni e del 11.7% nelle pazienti al di sopra dei 40 anni. Nelle stesse classi di età, l’abortività è stata, rispettivamente, del 12.3%, 23.7% e 39.2%. Per l’anno 2006, il Registro Italiano (ISS 2008) ha riportato i seguenti tassi di gravidanza in base all’età:

Gravidanze ottenute rispetto ai cicli di stimolazione ovarica iniziati:

<29 aa: 28.8%; 30-34 aa: 24%; 35-39 aa: 18.2%; 40-42 aa: 10.8%; 43 aa: 8%; 44 aa: 3.3%; >45aa: 1.5%

Il dato di gravidanze in rapporto al trasferimento di embrioni non è riportato, dal Registro Italiano, diviso per età, così come il dato generale del 21% di abortività delle gravidanze ottenute non è rapportato all’età.

I dati fin qui riportati confermano, da varie angolature, il fatto che l’aumento dell’età materna è comunque un fattore negativo, sia per le possibilità di ottenere una gravidanza, sia perchè la stessa si concluda favorevolmente. Le evidenze sopra riportate suggeriscono di tenere in considerazione il problema dei costi e dell’accessibilità alle tecniche di PMA. La legge 40/2004 di fatto non pone limiti di età all’accesso alle tecniche di PMA, avendo utilizzato una definizione generica come età fisiologica di riproduzione . La nota 74 dell’ AIFA sulla prescrizione dei farmaci, che è quella a cui sono sottoposti i farmaci per l’induzione dell’ovulazione, ha il limite dei 45 anni compiuti o dei livelli di FSH di 30 mU/ml. Molti Stati europei hanno regolamentato l’accesso alle tecniche in base all’età, al numero di cicli eseguibili e ad eventuali contributi da pagare da parte dei pazienti. Considerando questi ed altri elementi, alcune Regioni italiane hanno regolamentato l’accesso alle procedure nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale. La Toscana ha posto un limite di 42 anni o di tre cicli. Il Trentino ha posto il limite di 40 anni e tre cicli. La Lombardia non ha ancora regolamentato l’accesso alla PMA, anche se all’ inizio del 2007 sono state presentate all’Assessorato alla Sanità proposte di Linee Guida regionali che prevedevano il limite dei 43 anni e di un massimo di 6 cicli per soggetto.

In conclusione: Dato il declino della fertilità ben prima della menopausa, l’incidenza più elevata di disturbi che incidono negativamente sulla fertilità è il maggior rischio di aborto, le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre tempestivamente di una diagnosi e di un trattamento già dopo sei mesi di ricerca di una gravidanza, o anche prima in caso di indicazioni cliniche specifiche. L’età materna rappresenta dunque il fattore più importante, sia per la fecondità spontanea che per i risultati delle tecniche di PMA. L’età materna è un fattore importante per l’esito delle gravidanze in termini di abortività e complicazioni della gravidanza. Dopo un anno di rapporti senza concepimento non è giustificata alcuna attesa. Bisogna rivolgersi agli specialisti. Medici di famiglia, ginecologi consultoriali, ginecologi di fiducia, senza urtare la sensibilità delle pazienti o entrare nella sfera della privacy, dovrebbero sensibilizzare le pazienti sul fatto che l’età materna è un fattore chiave della riproduzione e sull’opportunità di non posporre troppo una ricerca di gravidanza. La gradualità delle tecniche prevista dalla legge 40 va probabilmente modulata in caso di età avanzata della donna. Il counselling sulle possibilità della PMA deve tenere conto del fattore età e del fatto che spesso le pazienti arrivano con aspettative eccessive riguardo alle possibilità di successo della fecondazione assistita. Negli ultimi anni sono passati messaggi fuorvianti sulle potenziaità della PMA a tutte le età. Di fronte a queste aspettative o alla cattiva informazione, diventa fondamentale fornire corrette informazioni alle coppie. Anche le tecniche come l’ovodonazione, finalmente non più vietate in Italia, vanno proposte alle pazienti come possibilità reali e ad alta probabilità di successo, per risolvere un problema di infertilità dopo i 41 42 anni.

Giuseppe Nicodemo
giunico@hotmail.com